mercoledì 3 agosto 2016

Dove osano le aquile



Walter Winterbottom, commissario tecnico della nazionale inglese di calcio negli anni Settanta, sentenziò una volta che in un futuro non troppo remoto un Paese africano avrebbe vinto i Mondiali. 

Quella profezia, però, non si è ancora avverata. O meglio: solo in parte. Perché è successo che la Nigeria e il Camerun abbiano conquistato la medaglia d'oro ai Giochi olimpici, sorta di Mondiale in miniatura. E proprio quella dei nigeriani, che seppero tenere testa e sconfiggere avversari ben più blasonati, fu un'impresa senza eguali.

Per i greci che masticano l'inglese, la finale del torneo di calcio dei Giochi olimpici del 1996 sapeva proprio di beffa. Oltre 86mila persone si presentano ai cancelli dello stadio di Athens: peccato che non fosse il nome inglese della loro capitale, bensì quello di un'omonima città nello stato americano della Georgia.

A sorpresa, le Olimpiadi del centenario non furono assegnate ad Atene, laddove un secolo prima i primi Giochi olimpici moderni avevano riportato in vita il mito di quelli antichi. No: aveva prevalso Atlanta, sede del quartier generale di una bevanda che dal lontano 1928 è sponsor olimpico. L'opinione pubblica mondiale, accecata dalla rabbia e dallo sdegno, aveva presto ribattezzato Coca Cola Games quell'edizione dell'evento sportivo per antonomasia.

Appena due anni dopo il Mondiale vinto dal Brasile ai rigori contro l'Italia nella calura di Pasadena, il grande calcio rimette piede negli Stati Uniti per la terza volta in dodici anni.

Ai Giochi olimpici di Los Angeles del 1984, peraltro, migliaia e migliaia di spettatori avevano assistito alle partite di quello che gli americani chiamano soccer ma che in qualsiasi altro Paese del globo è football. Un successo di critica e di pubblico inaspettato. Nulla a che vedere con lo scarno torneino a tre squadre a Saint Louis nel 1904, vinto per giunta da una selezione canadese, e con l'assenza a Los Angeles ventotto anni dopo a causa dell'avvento del professionismo, all'epoca ancora un tabù nel mondo olimpico.

È un torneo ricco di stelle, per quanto calcio e cinque cerchi non si siano mai particolarmente amati nonostante il loro rapporto sia uno dei più duraturi tra gli sport di squadra: nella Francia figurano i futuri campioni del mondo Robert Pirès e Vincent Candela e un promettente Claude Makélélé, i poco più che maggiorenni Raúl e Morientes guidano l'attacco della Spagna, il Messico non ha rinunciato al fantasista Cuauhtémoc Blanco, all'eccentrico portiere Jorge Campos e al temibile centravanti Luís García.

E poi ci sono le temutissime Brasile e Argentina con i vari Bebeto, Roberto Carlos, Rivaldo, Sensini e Simeone oltre ad alcuni abili giovanotti come Hernán Crespo, Dida, Claudio López e soprattutto Luís Nazário da Lima, da tutti conosciuto come Ronaldo anche se sulla schiena ha preferito far stampare il vezzeggiativo Ronaldinho per distinguersi dal compagno di squadra Ronaldo Guiaro.

L'Italia di Cesare Maldini, campione continentale nell'Under 21, non ha potuto contare su Alessandro Del Piero, convocato con la nazionale maggiore ai fallimentari Europei in Inghilterra. Ci sono pur sempre Buffon in porta e Cannavaro e Nesta in difesa, già titolari in Serie A.

C'è anche il capitano Christian Panucci, che tuttavia rimedia una botta al ginocchio in allenamento alla vigilia della cerimonia d'apertura: il torneo finisce ancor prima di cominciare. Il difensore milanista torna mestamente in Italia mentre i compagni provano a cullare il sogno olimpico: ad Atlanta s'imbarca per Cincinnati e da qui alla volta di New York.

Le peripezie, per Panucci, non sono mica finite: ha un biglietto aperto dell'Alitalia con destinazione Roma da scambiare con un New York-Milano con un'altra persona, che però non si presenta. E poi il suo bagaglio è stato smarrito durante il tragitto. È il 17 luglio: un'assistente del "John Fitzgerald Kennedy Airport" gli propone il volo della TWA per Roma via Parigi in partenza alle 20:31.

Panucci ci pensa un attimo, poi rifiuta: ha esigenza di raggiungere urgentemente Milano, non è una soluzione che lo aggrada. Decide, così, di denunciare lo smarrimento della valigia ai banchi dell'Alitalia e trova posto su un aereo diretto a Malpensa. È una scelta che gli salva letteralmente la vita: il Boeing 747 della TWA esplode dodici minuti dopo il decollo e s'inabissa al largo di East Moriches con 212 passeggeri e 18 membri dell'equipaggio. Panucci scoprirà di essere scampato alla morte solo una volta atterrato a Milano.


Il 20 luglio la doppietta del portoghese Afonso Martins alla Tunisia inaugura il torneo di calcio. L'Italia stecca subito col Messico - Palencia trafigge Pagliuca con una staffilata nell'angolino - e poi spreca il doppio vantaggio con il Ghana fino a farsi sconfiggere 3-2: l'avventura olimpica è già terminata.

Rischia anche la Spagna, sotto contro l'Australia a pochi minuti dalla conclusione della fase a gironi: la zampata di Santi e il comodo appoggio di testa di Raúl evitano una disonorevole uscita di scena. La differenza reti premia Brasile e Nigeria a discapito del Giappone, avanzano anche Portogallo, Argentina e Francia.

Ah, la Nigeria. Ha perfino rischiato di mandare tutto a monte tra finanze che scarseggiano, giocatori che arrivano in ritardo e un commissario tecnico, il cinquantenne olandese Johannes Franciscus "Jo" Bonfrére, già sulla graticola dopo appena un anno dal suo insediamento. Le trattative per il passaggio di Nwankwo Kanu dall'Ajax all'Inter sono talmente d'intralcio alla nazionale che lo smilzo attaccante raggiunge i compagni appena tre giorni prima del debutto.

Disorganizzazione, tafazzismo, arte di arrangiarsi. Eppure le 'super aquile', come vengono soprannominati in patria i calciatori della nazionale, compiono subito un piccolo miracolo: dopo le sudatissime vittorie contro Ungheria e Giappone cedono al Brasile, ma con tre reti a favore e una sola subita si qualificano per i quarti di finale.

Nell'elastico 4-4-2 predisposto da Bonfrére, un dogma che nessuno in Italia osa rinnegare in quegli anni, convivono reminiscenze del calcio totale - si difende e si attacca in massa, con due terzini di spinta e altrettante ali che fanno da raccordo tra centrocampo e prima linea -, bravi palleggiatori, rapidità dei movimenti, una condizione fisica invidiabile, un pizzico d'esperienza internazionale maturata al Mondiale un paio d'anni prima, E tanto, tanto talento da sprigionare.

La parabola della Nigeria trova in Kanu una perfetta personificazione: pur in palese ritardo di condizione fisica nelle prime gare, riesce comunque a risultare decisivo con gli ungheresi. E quando l'asticella s'innalza con le partite ad eliminazione diretta il neointerista, più airone che aquila con quel fisico da spilungone e gli arti gracili, assurge a icona della squadra.


Pur giocando parecchi incontri ravvicinati, Bonfrére non si lascia assalire dalla smania del turnover, del dover cambiare formazione ogni santa volta: meglio spendere in modo intelligente e ragionato le tre sostituzioni durante i novanta minuti. E allora: l'appena 19enne Dosu come ultimo baluardo, difesa in linea con Obaraku a destra, Celestine Babayaro a sinistra, Okechukwu e un ancora sconosciuto Taribo West al centro, l'ex Reggiana e futuro juventino Sundai Oliseh in mediana a coprire le spalle al funambolico Augustine "Jay Jay" Okocha, sulle fasce Babangida e Amunike danno manforte ad Amokachi e Kanu, che sfoggia un insolito numero 4 per un centravanti.

Inizia la fase ad eliminazione diretta e il Messico è la prima vittima sacrificale: decidono un tiro dalla lunga gittata di Okocha nel primo tempo e un diagonale di chirurgica precisione di Babayaro nei minuti conclusivi.

Il bello, però, deve ancora venire. Tre giorni dopo, dagli spogliatoi del sopraccitato stadio di Athens, esce nientemeno che il Brasile, con il ct Zagalo che mette in campo un autentico squadrone. Si capisce: la Seleçao ha vinto tutti i più importanti trofei mondiali tranne la medaglia d'oro con i cinque cerchi. E le motivazioni sembrano effettivamente ringalluzzire i verdeoro: nemmeno il tempo di studiarsi formazioni e schieramenti che  Flavio Conceição buca barriera e portiere su punizione. La Nigeria non si sfilaccia e ristabilisce l'equilibrio dopo venti minuti, quando Roberto Carlos devia malamente nella propria porta un tiro di Babayaro che sarebbe oltretutto finito sui cartelloni pubblicitari.

L'ebbrezza d'ingabbiare i giocolieri brasiliani dura pochissimo: Bebeto, quello che ai Mondiali del 1994 esultava mimando il gesto della culla per la nascita del figlioletto Mattheus, corregge in rete una respinta difettosa di Dosu su tiro di Ronald(inh)o, poi Flavio Conceição capitalizza da pochi passi una magnifica azione corale fatta di tocchi di prima.

Partita chiusa? Macché. A una dozzina di minuti dal termine ecco il momento chiave: la Nigeria stronca un possibile contropiede brasiliano e sull'immediata ripartenza il pallone arriva a Ikpeba che, tutto solo sulla sinistra, incrocia imparabilmente di prima intenzione sul palo lontano.

È una sliding door della gara, che da quel momento prende ben altra piega. Allo scoccare del novantesimo la Nigeria usufruisce di una rimessa laterale: la palla sfila sui piedi di Kanu che, spalle alla porta, se la alza con un tocco morbido e lascia che si accoccoli dolcemente in porta.


Si va ai supplementari, è come ripartire dallo zero a zero. Con la differenza che, adesso, le aquile stanno per spiccare il volo e avventarsi sulla preda pressoché tramortita. E infatti dopo appena quattro minuti accade quello che fino a mezz'ora prima sembrava imponderabile: la Nigeria attacca, Ikpeba fa involontariamente da sponda per Kanu che si accentra e stavolta sceglie la soluzione di potenza con il piede mancino. Il pallone sfreccia alle spalle dell'incolpevole Dida: gol. Anzi: golden gol, triplice fischio e tutti sotto la doccia. Anche la Nigeria, come l'Italia ai Mondiali messicani, ha uno storico 4-3 da raccontare ai nipotini.

Sì, ma tutto questo rischia di essere vanificato in caso di sconfitta con l'Argentina nell'atto supremo. La Nigeria, però, non ha nulla da perdere. E si affida alla cabala: lo scenario (il Sanford Stadium) è lo stesso del miracolo contro i brasiliani. In effetti, il destino della finalissima sembra già scritto nelle stelle - o meglio nei numeri.

In un afoso pomeriggio d'inizio agosto il pubblico assiste a una specie di replica della palpitante semifinale tra Nigeria e Brasile. A rompere gli indugi dopo due soli giri di lancette è l'Argentina: i due attaccanti s'invertono, Crespo crossa dalla destra e Claudio López stacca imperiosamente di testa battendo un pietrificato Dose.

La Nigeria agguanta il pareggio prima della mezz'ora con una rete non così dissimile: sul morbido traversone di Kanu il più lesto è Babayaro che si sguinzaglia da Ayala e spinge il pallone sul palo interno e poi in rete. "Faceva un caldo infernale, stavamo a stento in piedi e questi avevano la forza di festeggiare con le capriole...", racconterà qualche anno dopo Crespo.

Come era già successo con il Brasile, i nigeriani hanno un innato talento per complicarsi la vita. Tanto che a inizio ripresa un contatto in area tra West e Ortega, che sembra accentuare notevolmente la caduta, viene giudicato punibile con il massimo della pena: è rigore e dal dischetto Crespo, in procinto di trasferirsi al Parma, non fallisce. Pure all'Argentina, però, saranno fatali gli ultimi venti minuti.

Rispetto alle gare precedenti, Bonfrére si è concesso una piccolissima eccezione all'intoccabile undici titolare - l'inserimento di Ikpeba in luogo di Amunike. Il ripristino delle gerarchie sarà la carta vincente. Manca un quarto d'ora quando Kanu prolunga di testa il pallone in area avversaria: Oruma svirgola goffamente, Amokachi invece ha il tempo di controllarlo e con l'esterno del piede castiga con un pallonetto un Caballero palesemente fuori posizione.


L'Argentina inizia a sudare freddo, le immagini della rimonta sui brasiliani scorrono nella mente dei giocatori come un sinistro presagio.

E così sia: nell'ultimo minuto dei tempi regolamentari Oruma si fa carico di una punizione dalla sinistra. Quando tocca il pallone, l'intera difesa argentina fugge lontano dall'area per far scattare la trappola del fuorigioco: Amunike gira al volo di sinistro nell'angolino e, a sorpresa, il gol viene convalidato. Un nugolo di maglie biancocelesti accerchia inutilmente la casacca purpurea di Collina e del suo guardalinee: tutto regolare, rimonta completata.

Non c'è più tempo per ribellarsi a una sentenza già scritta: la Nigeria è campione olimpica, i giocatori danno inizio a gioiose danze e mostrano i bicipiti scolpiti.

Come nel 1924 la medaglia d'oro dell'Uruguay portò il dirigente Atilio Narancio ad affermare che "non siamo quel piccolo punto sulla carta geografica del mondo", così il Continente Nero smetteva di essere una remota provincia nell'atlante del calcio.

Fonti:
La Repubblica
FIFA.com
FIFA Technical Report

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