martedì 26 luglio 2016

1992: l'hockey su pista alle Olimpiadi


Photo Angelo Cupisti

“Come sarebbe bello vedere l’hockey su pista alle Olimpiadi…”. Già: probabilmente, è l’unico punto su cui convergerebbero anche le tifoserie divise da un’aspra rivalità. Eppure ci fu un momento, un anno – il 1992 – in cui l’hockey seppe conquistarsi la ribalta dei cinque cerchi. Un’esperienza straordinaria, indimenticabile. E soprattutto irripetibile: quell’inserimento nel programma olimpico in qualità di “sport dimostrativo” rimase un episodio isolato a cui l’intero movimento dei pattini a rotelle non seppe dare continuità.

Tutto nasce sul finire degli anni Ottanta, quando Barcellona si aggiudica l’organizzazione dei Giochi della venticinquesima Olimpiade: il presidente del Comitato Olimpico Internazionale Juan Antonio Samaranch, catalano che aveva servito da ministro nel governo del Generalísimo Francisco Franco, avanza la proposta di introdurre alcuni sport dimostrativi. Tra questi c’è l’hockey su pista, che in Catalogna è popolare quasi quanto il calcio e che lo stesso Samaranch ha praticato in gioventù. L’istanza va avanti con successo: l’hockey diventa sport olimpico assieme a taekwondo e pelota basca.

A Barcellona vanno a caccia di uno storico oro dodici squadre: c’è anche l’Italia, campione del mondo nel 1986 e 1988 e vincitrice degli Europei nel 1990. “In quel momento eravamo i più forti, avevamo una squadra stratosferica per quanto alla fine di un ciclo”, racconta il viareggino Alessandro Cupisti, uno dei due portieri della nazionale. “Era la favorita, pur con l’handicap dell’infortunio di Pino Marzella”, fa eco il quasi omonimo giornalista Angelo Cupisti che seguì la squadra allenata da Giambattista Massari in questa avventura. “Sicuramente ci saremmo giocati l’oro con Argentina, Portogallo e Spagna: una di queste sarebbe certamente rimasta fuori dal podio”, sottolinea il fortemarmino Roberto Crudeli, pure lui convocato per quell’Olimpiade.

 Per gli azzurri c’è un debutto mica male – il 26 luglio a Vic contro l’Argentina. “All’epoca il re Juan Carlos era molto contestato in Catalogna, si temevano addirittura attentati terroristici”, ricorda Angelo Cupisti. “In ogni palazzetto eravamo sorvegliatissimi. A Vic accadde un fatto curioso: mi presento ai tornelli in giacca e cravatta, sotto un caldo infernale, con in mano la mia Lettera 22 e la macchina fotografica. A un certo punto mi sento gettare addosso un pezzo di stoffa gialla e rossa: lì per lì mi spavento, poi sulla sinistra vedo scappare un ragazzino. Mi aveva tirato la bandiera della Catalogna.

“Uno degli agenti in servizio gli punta il mitra. Io gli do una bottarella e dico, alla viareggina: ‘Che fai, vuoi spara’ a un bamboretto?’. Ricevo due-tre pugni in faccia: per fortuna ci chiariamo subito. La notizia, nel frattempo, fa il giro di Vic, un paese grande quanto Camaiore: quando entravo in un bar o un ristorante mi offrivano tutto. Dicevo: ‘Vi sbagliate con Cupisti il portiere, non sono lui’. Macché: ‘No no, Angelo, Angelo, el periodista, el periodista‘. In quella settimana non mi fecero pagare nulla. E mi regalarono una bandiera catalana”.

Photo Angelo Cupisti

In pista, intanto, l’Italia parte con un pareggio per 3-3 dopo essere stata in vantaggio di due reti. “Io non giocai nemmeno”, rimembra con un po’ di amarezza Alessandro Cupisti. “Perché non vincemmo? Ci furono certe situazioni… andò così. Il rammarico più grande fu la cerimonia di apertura: era in programma il giorno prima, ma dovevamo giocare e dunque non andammo”. Gli azzurri, dopo quell’occasione sprecata, rialzano subito la testa e chiudono la fase eliminatoria davanti a tutte le avversarie.

Ci si sposta successivamente a Reus per il girone di semifinale: “Qua ci furono un po’ di dissidi tra Massari e alcuni giocatori: mi ritrovai a fare da mediatore, cercai di tranquillizzare l’ambiente”, aggiunge Angelo Cupisti. L’Italia sembra perdere smalto: si arrende al Portogallo ed esce pesantemente sconfitta contro Argentina e Spagna, ma si qualifica comunque per la finale di consolazione.

 Tra una gara e l’altra gli azzurri provano l’ebbrezza del villaggio olimpico, seppur per un paio di giorni: “Ero stato a Barcellona pochi mesi prima a giocare in Coppa Campioni, ma in quelle due settimane era stata rimessa a nuovo”, racconta ancora Crudeli. “Era irriconoscibile, stupenda. Nel villaggio si respirava un’atmosfera bellissima: ai mondiali di hockey sei abituato a confrontarti con gente che pratica il tuo stesso sport, lì invece t’imbattevi in qualsiasi tipo di atleta.

Photo Angelo Cupisti

“Il ricordo più bello è l’incontro con il campione americano di basket Charles Barkley, che mi autografò la maglia. E poi ci ritrovammo a mangiare a fianco di Juri Chechi, con cui scambiammo quattro chiacchiere”. Alessandro Cupisti rimase invece colpito da Magic Johnson, dalla nazionale di pallacanestro della Croazia e da una diavoleria tecnologica: “Nel villaggio era arrivato Internet: ricordo tutti questi computer dove potevi trovare le carriere di qualsiasi atleta. Digitavi ‘Magic Johnson’, ‘Alessandro Cupisti’ e saltavano fuori statistiche su statistiche”.

 Proprio a Barcellona, in un Palau Blaugrana stipato all’inverosimile, c’è un bronzo da conquistare: “Ce lo dicemmo nello spogliatoio: per quello che eravamo stati, per quello che avevamo fatto in tutti quegli anni, non potevamo tornare a casa a mani vuote”, ricorda Crudeli. “Ci guardammo negli occhi: volevamo solo vincere, mettere da parte i rancori e quello che non aveva funzionato”, aggiunge Alessandro Cupisti.

Photo Angelo Cupisti

Detto, fatto: l’Italia batte per la seconda volta in meno di due settimane il Portogallo con un risicato 3-2, al termine di una gara nervosa e combattuta. E il gol che vale il bronzo parla versiliese: “In quel torneo ne segnai cinque, tutti importanti, ma non quanto quello”, rivela Crudeli. “Ci tenevo tantissimo: da poco era nato mio figlio, volevo dedicargli qualcosa. Fu un sogno che si realizzava. Sul momento qualcuno mugugnò per quel terzo posto ma l’ha rivalutato negli anni a venire: per me personalmente, il bronzo olimpico vale quanto un oro mondiale. Addirittura il portoghese Vitor Hugo rimase talmente deluso per la mancata medaglia che, a soli 28 anni, decise di ritirarsi. Ricordo che ci parlai a fine partita, mi disse: ‘Basta, con questa ho finito’…”.

Nella finale, sotto gli occhi di un fischiatissimo re Juan Carlos, l’Argentina batte un po’ a sorpresa (“Ma meritatamente”, puntualizza Angelo Cupisti) la Spagna.

 “Il momento della premiazione fu emozionante”, aggiunge Alessandro Cupisti: “C’era sicuramente qualche rammarico, però era comunque stata un’avventura straordinaria: rimane la foto della squadra sul podio. Un bellissimo ricordo che porterò sempre dentro di me”.

Photo Angelo Cupisti
La nazionale di hockey a Barcellona 1992 

1 Alessandro Cupisti
2 Tommaso Colamaria
3 Francesco Amato
4 Enrico Bernardini
5 Roberto Crudeli
6 Massimo Mariotti
7 Enrico Mariotti
8 Dario Rigo
9 Giuseppe Marzella
10 Massimo Cunegatti
All. Giambattista Massari 


Turno preliminare (Vic) 

26-07-1992 Italia-Argentina 3-3 
27-07-1992 Svizzera-Italia 0-8 
28-07-1992 Stati Uniti-Italia 2-13 
29-07-1992 Italia-Portogallo 5-2 
30-07-1992 Giappone-Italia 1-25 

Girone di semifinale (Reus)  

01-08-1992 Portogallo-Italia 5-3 
02-08-1992 Brasile-Italia 1-6 
03-08-1992 Olanda-Italia 1-8 
04-08-1992 Italia-Argentina 3-7 
05-08-1992 Italia-Spagna 1-5

Finale per il terzo posto (Barcellona)

07-08-1992 Italia-Portogallo 3-2

Photo Angelo Cupisti

 (articolo originariamente pubblicato su Versiliatoday.it)

Nessun commento:

Posta un commento