martedì 4 agosto 2015

Il grande Górski


Foto leniarski.blox.pl/
Robert Lewandowski, Grzegorz Krychowiak, Kamil Glik, Wojciech Szczęsny: una bella nidiata di talenti fa (ben) sperare i calciofili polacchi di vedere i Biało-czerwoni - i "biancorossi", soprannome affibbiato alla nazionale - risollevarsi dall'anonimato e tornare ad essere una squadra temibile. 

Le qualificazioni agli Europei del 2016 sembrano legittimare un simile ottimismo: la Polonia è alla guida del Girone D con 14 punti, uno in più della Germania campione del mondo clamorosamente sconfitta con due reti di scarto lo scorso ottobre a Varsavia. Dopo la delusione dell'ultimo Europeo, dove i polacchi sono usciti miseramente al primo turno pur giocando sul suolo natio, arrivare in Francia a non rimediar figuracce è una giusta ambizione. 

Ma forse, con il dovuto rispetto ai selezionatori alternatisi in questi anni sulla panchina biancorossa, quello che manca alla nazionale e all'intero movimento è forse un erede del più carismatico e influente tra gli allenatori polacchi: Kazimierz Górski.

26 giugno 1948: all'Idrætspark di Copenhagen la Polonia affronta in amichevole la nazionale danese. Apparentemente povero di stimoli agonistici, l'incontro coincide con una fragorosa goleada dei nordici, che poche settimane dopo vinceranno la medaglia di bronzo ai Giochi di Londra: l'8-0 finale rimane ancor oggi la batosta più pesante nella storia dei Biało-czerwoni. Nessuno, invece, può vaticinare che sarà pure l'unica presenza in nazionale di colui che, invero nelle vesti di commissario tecnico, condurrà la Polonia a due medaglie olimpiche e a una semifinale mondiale in soli quattro anni.

Foto legia.com
Kazimierz Górski - questo il nome del santone del calcio polacco - nasce il 2 marzo 1921 a Lwów, l'odierna Leopoli, che dopo la stipula degli accordi della Conferenza di Yalta al termine della Seconda guerra mondiale passa all'Ucraina sotto il nome di L'viv. Górski ha già detto addio alla sua città natale quando avvengono cambio di denominazione e di territorio: nel 1944 si è arruolato nell'esercito e fatto le valigie per Varsavia. Prima di migrare verso la capitale, però, ha avuto tempo e modo di avvicinarsi al calcio e di innamorarsene con le maglie di RKS, Spartak e Dinamo, tre diverse squadre di Lwów.

Non ha un fisico erculeo, il giovane Kazimierz. Tutt'altro: è gracilino per essere un attaccante ed è tormentato da un fastidio perenne al ginocchio, ma sa compensare questo difetto con un'eccellente rapidità. Il connubio tra queste due caratteristiche fisiche gli vale il soprannome di sarenka, "cerbiatto". A seguito della parentesi militare Górski entra nelle fila del Legia Varsavia per poi ritirarsi nel 1953, dopo essere stato convocato in nazionale solamente in una circostanza.

Già l'anno seguente, tuttavia, per l'ex giovane promessa conosce una seconda vita nel mondo del calcio: la dirigenza del Marymont Varsavia gli affida la panchina della prima squadra. L'avventura ha durata effimera: nel 1956 accetta l'incarico di selezionatore della nazionale giovanile polacca. A distanza di trentasei mesi riabbraccia il Legia per poi allenare KS Lublinianka e Gwarda.

Górski, uomo dalla filosofia spiccia (celebre il suo tormentone "La palla è rotonda e ci sono due porte") capisce però che non può fuggire da un destino chiamato nazionale: nel 1966 diventa il ct della selezione Under 23 e quattro anni dopo, finalmente, prende in carico quella maggiore, con cui debutta sconfiggendo la Svizzera.

Il primo, vero esame per il nuovo allenatore è costituito dai Giochi del 1972 nella vicina Monaco di Baviera. E se una medaglia olimpica non è così attraente come la Coppa del Mondo, almeno il torneo a cinque cerchi può fungere da palestra per il Mondiale in Germania Ovest.

Nel buttar giù l'elenco dei titolari Górski punta su due blocchi - quello del Górnik Zabrze, finalista in Coppa delle Coppe nel 1970 e vincitore del titolo nazionale nel 1971 e 1972, e del Legia. Per retroguardia e attacco attinge dai campioni di Polonia - il portiere Hubert Kostka, il possente stopper Jerzy Gorgoń, il terzino Zygmunt Anczok e il temibile centravanti Włodzimierz Lubański -, a centrocampo giostrano i fenomeni della sua ex squadra Lesław Ćmikiewicz e, soprattutto, il trequartista Kazimierz Deyna e l'ala mancina Robert Gadocha.

Per Górski tutto parte da un'idea di gioco e, successivamente, dalla scelta dei calciatori ritenuti più idonei a interpretare quella filosofia: basta che l'undici ideale includa "due stelle e nove artigiani" e che ognuno di essi conosca esattamente il proprio compito da assolvere sul campo. Ma il ct deve saper motivare i propri ragazzi: "Se un allenatore ha paura di perdere farebbe meglio a trovare un altro lavoro", affermò una volta. Anche l'approccio ha il suo peso: Górski non è un sergente di ferro, predilige le buone maniere e l'atmosfera da grande famiglia.

Nei primi due impegni contro Colombia e Ghana la squadra è straripante: Gadocha e Deyna demoliscono le difese avversarie e in centottanta minuti segna nove gol subendone uno solo (5-1 e 4-0).



L'asticella si alza nella sfida successiva contro la Germania Est dei già smaliziati Bernd Bransch e Jürgen Sparwasser, ma i polacchi sanno di dover segnare per primi. E così sia: Gorgoń si avvita su uno spiovente da calcio d'angolo per l'1-0, poi il tedesco Streich agguanta il pari prima che il gigante di Zabrze gonfi nuovamente la rete con una sassata sotto l'incrocio.

Passata la prima fase, la Polonia procede con un 2-2 contro la Danimarca - rimarrà l'unica partita senza vittoria in tutto il torneo olimpico -, con il successo in rimonta ai danni dell'Unione Sovietica di un giovane Blochin e con uno sfavillante 5-0 inflitto al povero Marocco.

In finale è duello con l'Ungheria, ormai lontana parente dello squadrone degli anni Cinquanta ma da considerarsi ancora rognosa. Sconfessando uno dei precetti del suo ct, la Polonia è costretta a rincorrere l'iniziale vantaggio magiaro, ma due prodigi del solito Deyna rovesciano il risultato: la medaglia d'oro finisce sul collo dei Biało-czerwoni. 

Ma il ciclo vincente di Górski è appena agli inizi: in una notte leggendaria, nel novembre 1973 la Polonia pareggia 1-1 a Wembley contro l'Inghilterra e veleggia verso i Mondiali in Germania Ovest a discapito dei maestri del football. Su quell'impresa c'è la mano, anzi, il guantone di Jan Tomaszewski, portiere talmente eccentrico che l'allenatore britannico Brian Clough apostrofa come "clown" in diretta televisiva.

I polacchi, a ragion veduta, non vogliono più porsi limiti. Nel girone eliminatorio battono due potenze calcistiche come Argentina e Italia e in semifinale s'inchinano ai tedeschi dell'Ovest su un terreno di gioco che presenta più fanghiglia che erba. Nella finale di consolazione, poi, cade addirittura il Brasile campione del mondo dopo la cavalcata solitaria di Grzegorz Lato, anche lui un talento puro, capitalizzata con un preciso diagonale.


Con la conferma dello zoccolo duro dei Giochi olimpici e l'aggiunta dello stesso Tomaszewski, di Henryk Kasperczak, Andrzej Szarmach e Władysław Żmuda gli sportivi cullano sogni di gloria. Ma gli straordinari risultati hanno uno spiacevole, ben appunto, rovescio della medaglia: fanno lievitare le aspettative verso la nazionale. Al punto che in patria l'argento olimpico di Montréal, dove la Polonia nega la finalissima al Brasile salvo alzare bandiera bianca contro la Germania Est, viene equiparato a un fallimento. È il 1976: dopo sei irripetibili anni il ciclo di Górski si esaurisce.

Il tecnico di Leopoli decide di ricominciare dalla Grecia: qui, sulle panchine di Olympiakos e Panathinaikos, conquista due campionati, altrettante coppe nazionali e una Coppa dei Balcani. A raccoglierne il testimone in nazionale è il suo prezioso assistente Jacek Gmoch, considerato da alcuni il vero artefice dei successi degli anni Settanta ancor più di Górski. Ma rispetto al suo predecessore non si spingerà oltre il secondo turno ai Mondiali in Argentina del 1978.

Foto kresowiacy.com
Górski si spegne a Varsavia il 23 maggio 2006, a poche settimane dall'inizio della Coppa del Mondo dove i Biało-czerwoni usciranno già nella fase a gironi. Prima di morire, il vecchio ct lascia alcuni spunti di riflessione alla Federcalcio di cui è stato vicepresidente, presidente e, infine, presidente onorario: secondo lui, i giovani polacchi hanno un talento innato che poi appassisce nel passaggio all'età adulta e del professionismo. Colpa anche del sistema, che non dà fiducia alle nuove leve. Il declino della nazionale olimpica che non riuscì a dare continuità all'argento di Barcellona nel 1992 è l'emblema di questo circolo vizioso.

Come lo stesso Górski sentenziò una volta, "nel calcio puoi vincere, pareggiare o perdere". Ora tocca agli stati generali della Polonia decidere quale opzione scegliere.

(Qui l'articolo in lingua inglese)

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