martedì 7 giugno 2011

Big in Japan - 2




(continua da - 1)

 Primi calci. C'è comunque da attendere la fine dell’era Meiji per assistere al primo campionato nazionale giapponese, figlio, in realtà, di un errore commesso da un’agenzia di stampa.

Nel 1918 si disputano tre tornei calcistici nelle regioni di Kansai, Kantō e Tōkai: nonostante non dipendano l’uno dall’altro, alcuni giornalisti li spacciano come gironi di qualificazione, a carattere regionale, per un presunto campionato nazionale.

I quotidiani che riportano la (falsa) notizia finiscono anche sul tavolo dei vertici della Federcalcio inglese, che decidono di inviare in Giappone il giusto premio da assegnare alla squadra vincitrice, consistente in una coppa d’argento che andrà poi perduta nel corso della Seconda guerra mondiale.

Tre anni più tardi, sotto l’egida della neonata JFA (Japan Football Association), si svolge il primo, fantomatico campionato nazionale: si presentano venti squadre e ad alzare la coppa d'argento fatta arrivare da Londra è il Tōkyō Football Club che in finale supera 2-0 la scuola normale di Aoyama.

Il 1921 è un anno memorabile anche per la giovane nazionale di calcio: dopo aver esordito sulla scena internazionale ai Giochi dell'Estremo Oriente di Tōkyō nel 1917, è alla successiva edizione, svoltasi a Manila, che i nipponici viaggiano in trasferta per la prima volta. 

L'esperimento del campionato nazionale "per caso" funziona, tanto più che viene ripetuto l'anno successivo e vede la partecipazione di un numero crescente di squadre. Anzi: la competizione diviene l'antesignana dell'attuale Coppa dell'Imperatore ed il titolo nazionale viene assegnato tra le numerose scuole superiori nipponiche.

Un simile campionato verrà poi istituito anche per gli istituti di grado inferiore, facendo del mondo scolastico il vero fulcro del calcio giapponese negli anni pioneristici.

Ma nel 1923 lo sport si ferma: è il primo giorno di settembre e la terra trema nella regione del Kantō, dalla capitale alle prefetture di Chiba, Kanagawa e Shizuoka, provocando oltre 142mila vittime. Di fronte ad una simile catastrofe, il campionato viene annullato e rinviato a febbraio.

E intanto il calcio rimane confinato al mondo accademico e non può far altro che piegarsi alla maggior popolarità del baseball: lo sport di matrice americana trova riconoscimento nell'istituzione, nel 1935, del suo campionato professionistico - il primo in Giappone per uno sport di squadra - sulla scia del successo delle tournèe sul suolo nipponico di alcune selezioni di campioni della MLB americana.

Il calcio rimane uno sport minore, ma qualcosa si muoverà al suo interno nei difficili anni della ricostruzione dopo la parentesi bellica. Sebbene le scuole siano quanto di più lontano dal professionismo nello sport, sono proprio loro la colonna portante di tutto il movimento. E lo saranno ancora a lungo, perché è da qui che proverranno i giovani destinati poi alle grandi squadre professionistiche.

Ma, ancor prima che uno sport, il calcio è visto come una palestra di vita: non è sufficiente il talento, servono educazione e disciplina. E ottimi voti nelle materie. Solo in questo modo i ragazzi sapranno cavarsela nel mondo degli adulti ed essere competitivi in quello del lavoro, rispondendo così ai requisiti delle grandi aziende per le loro figure professionali.

Ed è questa la filosofia che sta alla base dei metodi spartani di Sadao Konuma, allenatore alla scuola Teikyo: il calcio è innovazione più disciplina, ha una forte valenza formativa. Ricorre spesso alle maniere forti con i ragazzi, arrivando persino a prenderli a calci. Perché, sosteneva, anche colpire uno studente che persiste in atteggiamenti sbagliati può essere educativo. E lo sport può essere un altro, ottimo correttivo in tal senso.

Nel frattempo, una prima occasione di (ri)lancio arriva con l'organizzazione dei Giochi Olimpici del 1964: i nipponici non vogliono certo sfigurare ed allestiscono una nazionale all'altezza della situazione, scegliendo come allenatore il tedesco Dettmar Cramer.

È il 1960 e per il calcio giapponese ha inizio una nuova vita: la Furukawa Electric, squadra dell'omonima compagnia elettrica, vince il campionato interrompendo, per la prima volta, la lunga egemonia di scuole ed università.

L'undici di Ichihara, città della prefettura di Chiba, è lo specchio della situazione che sta vivendo il paese: dopo la sconfitta nella Seconda guerra mondiale, dopo lo sgancio della bomba atomica sugli edifici di Hiroshima e Nagasaki, il Giappone prova a ripartire.

Le grandi aziende iniziano ad investire nello sport ed i primi mecenati vengono dal settore tessile. L'organizzazione è simile al "dilettantismo di stato" dei paesi d'influenza socialista, basata tuttavia sul modello capitalista: i giocatori sono veri e propri impiegati dell'impresa. La mattina si recano in ufficio, il pomeriggio si allenano assieme ai colleghi e compagni di squadra e la sera, infine, si coricano in uno dei tanti dormitori messi a disposizione dal loro datore di lavoro.

Non troppo dissimile da quella che potrebbe essere una squadra da campionato amatoriale, la Furukawa segna comunque una svolta nel calcio del Sol Levante.

Nel 1964, poi, Tōkyō ospita le Olimpiadi: se la nazionale di pallavolo femminile, composta esclusivamente da impiegate, conquista addirittura l'oro, la nazionale di calcio non fa molta strada eppure scrive una memorabile pagina di storia battendo l'Argentina. Qualcosa si muove.

L'anno successivo segna un'altra tappa cruciale per il calcio giapponese: seguendo una proposta di Cramer viene, infatti, istituita la Japan Soccer League (JSL), primo campionato nazionale nipponico di uno sport amatoriale. 

(2- continua)

Fonti:
S. Moffett, "Japanese rules", Yellow Jersey Press, 2002
The J.League official website
Japan soccer archive

(Un ringraziamento al Japan Museum Football della JFA per la foto)

Nessun commento:

Posta un commento